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Consegna a domicilio di alimenti e bevande: il trattamento Iva

Bar, ristoranti, trattorie, pizzerie, locali in genere che hanno come attività principale la somministrazione di alimenti e bevande, sono stati i primi a chiudere i battenti con il diffondersi dell'epidemia. Con il prolungarsi delle misure restrittive, molti di questi operatori hanno deciso di reinventarsi e la consegna a domicilio è diventata realtà anche nei piccoli centri urbani.



Attenzione però a non improvvisare!

Sono in vigore 
obblighi legaliamministrativi igienico-sanitari a cui occorre adempiere: aggiornare la licenza con eventuale comunicazione al SUAP, presentare la SCIA, comunicare il nuovo codice ATECO, essere in regola con l'Agenzia delle Dogane per i prodotti alcolici, modificare il piano di autocontrollo HACCP alle nuove procedure di veicolazione e ai recipienti utilizzati per il confezionamento, etichettare i prodotti consegnati, adeguarsi alle nuove misure generali di salute e sicurezza dei lavoratori contro il coronavirus.


Ma non è tutto: si pone anche il problema della fatturazione e della corretta applicazione dell'Iva. 

Il delivery (consegna) di cibo e bevande non è somministrazione. Per "somministrazione" si intende la vendita e il consumo sul posto (con il servizio assistito del personale addetto ai tavoli) di alimenti e bevande, comprese quelle alcoliche di qualsiasi gradazione, nei locali dell'esercizio o in una superficie aperta al pubblico annessa all'esercizio, come i dehors o le terrazze. Per la somministrazione, nessun dubbio: Iva al 10% come indicato al n. 121, Tabella A, Parte III, allegata al D.P.R. 633/1972.

Per le vendite di cibi e bevande da asporto (da non confondersi con la somministrazione prima descritta) la normativa italiana, fino a poco tempo fa, era invece carente, seppur le interpretazioni di dottrina e giurisprudenza in tal senso fossero ormai consolidate. Occorreva pertanto rifarsi prioritariamente a quanto affermato più volte dalla Corte Europea e in particolare all'
art. 6 del Regolamento di esecuzione Ue n.282/11, secondo cui “la fornitura di cibi o bevande preparati o non preparati o di entrambi, compreso o meno il trasporto ma senza altri servizi di supporto, non è considerata un servizio di ristorazione o di catering”.



L'Agenzia delle Entrate arriva però di recente a fare chiarezza con il 
principio di diritto n. 9/2019: la somministrazione, caratterizzata dalla commistione di “prestazioni di dare” e “prestazioni di fare” (ris. n. 103/E/2016) è assoggettata all'aliquota del 10%, mentre la “cessione” (asporto) deve scontare l'aliquota applicabile in dipendenza della singola tipologia di bene alimentare venduto.

La cessione di prodotti alimentari e bevande, seppur effettuata da pubblici esercizi e con asporto, deve scontare l'Iva riferita al singolo prodotto, e quindi all'interno di una stessa vendita possono esserci prodotti con aliquote diverse.


Per esempio:

- pizza, Iva 10%;

- bibite, Iva 22%;

- ortaggi Iva 4%.

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